Sovente mi capita di visionare o di fischiare con nuovi arbitri che si approcciano al servizio dello sport sotto questa forma. Ultimamente mi è capitata un’esperienza insolita che mi ha fatto riflettere sui percorsi educativi che oggigiorno vengono proposti per la formazione ed il mantenimento degli arbitri di domani.
Sono abituato a lavorare con ragazzi che hanno un’età tra i sedici e i vent’anni: stavolta le cose sono state un po’ diverse. Un genitore, ex giocatore, che si è trasferito nella nostra zona, ha iscritto il proprio figlio ad un settore giovanile e ha visto il volantino che avevamo diffuso per il precedente corso arbitri: mi ha telefonato, si è iscritto al corso e lo ha seguito con dedizione. Terminato il corso, è giunto il momento del suo ingresso in campo: campionati giovanili, assieme ad un arbitro tutor. Si è impegnato seriamente, ha svolto il suo impegno con professionalità, ha richiesto ed ascoltato i consigli del suo “istruttore” più giovane di lui, ha riconosciuto i suoi errori e ha subito cercato di mettere in pratica i miei consigli. Ho visto in lui la stessa, posso permettermi di dire anche maggiore, passione che trovo nei ragazzi di trent’anni più giovani; ho toccato con mano il manifestarsi del piacere di arbitrare e di “realizzarsi” col servizio svolto.
Prima indicazione: dobbiamo far maturare i nuovi arbitri nello scoprire il piacere delle regole, della relazione, del conoscere e crescere sé stessi, del coerente esercizio del potere e del servizio gratuito (da un elenco di Davide Iacchetti, Direttore Area Formazione CSI Lombardia).
Durante lo stesso incontro sono accaduti due episodi che hanno portato alla correzione di un errore. Nel primo caso ho dovuto prendere atto “a memoria” un errore di registrazione la cui individuazione non è proprio così semplice, ricevendo un’insolita stretta di mano e un “grazie” da parte di un giovane allenatore. Nel secondo caso il mio collega ha fischiato un’inesistente infrazione, subito dopo ha riconosciuto (un po’ sconsolato in effetti) il proprio errore dicendo “mi sono sbagliato”, ed il gioco è stato quindi fatto riprendere. E questo vi posso assicurare che è un episodio veramente raro. Commettere un errore è semplice e facente parte dell’indole umana: riuscire a riconoscerlo e soprattutto affrontare l’insicurezza psicologica che ne deriva non lo è, e deve essere considerato come stimolo per rinnovare i piaceri dell’arbitrare finalizzati al miglioramento continuo del proprio operato.
Seconda indicazione: dobbiamo seguire i giovani arbitri non per giudicarli ma aiutarli nel costruire strumenti di “auto-aiuto” per individuare i propri errori e per gestire l’emotività interiore che ne deriva al fine di evitare situazioni di eccessi di sicurezza ed ostentazione del proprio ruolo e della propria prestazione.
In una gara non capitano solo episodi piacevoli e positivi: per la prima volta ho visto un ragazzino di 14 anni bestemmiare per aver subìto un fallo di gioco. Non è stato piacevole, così come non lo è stato assumere i relativi provvedimenti disciplinari. Dopo un flebile accenno di protesta da parte del proprio allenatore, al quale ho perentoriamente spiegato i motivi della mia decisione, quest’ultimo ha comunque deciso di sostituire questo giocatore e ho sentito la ramanzina con la “coda dell’orecchio”. Purtroppo mi verrebbe da pensare che senza sanzione l’episodio sarebbe passato forse inosservato.
Terza indicazione: nell’intraprendere un percorso formativo all’interno del CSI dobbiamo ricordarci che un arbitro non deve essere tutto “casistica e regolamento”, ma che si deve porre come operatore sportivo consapevole che il proprio ruolo fondamentale nell’educazione attraverso lo sport, anche attraverso la punizione (che ha per obiettivo la conferma delle regole e da la possibilità di apprendere ed utilizzare un comportamento migliore).